Il compagno Trapasso e la Festa de l'Unità (Praia a Mare '74)
Praia a Mare, estate 1974. La crisi energetica del ’73 aveva messo in ginocchio l’Italia: le domeniche a piedi erano la norma, le Vespe restavano ferme per mancanza di benzina, e il sindaco democristiano Don Peppino, con il suo crocifisso al collo e la pancia prominente, andava in giro a piedi lamentandosi: “È colpa dei comunisti, lo sapevo io!” Intanto, il referendum sul divorzio aveva appena spaccato il paese: da una parte le donne che sognavano la libertà, dall’altra le zie bigotte che recitavano il rosario per salvare l’Italia dalla perdizione.
In questo caos, il circolo del PCI di Praia a Mare stava organizzando la Festa dell’Unità, un evento che prometteva vino, salsicce e un comizio infuocato del compagno Saverio, detto “Trapasso” – non perché fosse morto, ma perché sembrava sempre sul punto di svenire dopo il terzo bicchiere di rosso. Saverio, un ventenne con basco nero, maglietta di Che Guevara e jeans a zampa, era il rivoluzionario del paese: citava Marx a memoria, ma non aveva mai finito di leggere Il Capitale perché “era troppo lungo”.
Sembrava uscito da un film di Monicelli: basco nero calcato in testa, maglietta rossa con Che Guevara stampato sopra (ma comprata al mercato per 500 lire), e un carro armato T-10 M parcheggiato davanti casa – un cimelio assurdo che aveva comprato a rate da un rigattiere sovietico, giurando che “un giorno servirà per la rivoluzione!”. Il carro armato, ovviamente, non si accendeva nemmeno con le preghiere, ma Saverio lo usava per impressionare le ragazze e per far arrabbiare Don Peppino, che lo definiva “un affronto alla morale cristiana”.
La Festa dell’Unità era in pieno fermento, ma la corrente elettrica, causa crisi, andava e veniva come un’amante capricciosa. Durante il comizio di Saverio, le luci si spensero di colpo. “Compagni, è il sabotaggio del capitale!” urlò lui, brandendo un megafono che gracchiava come un’anatra strozzata. “Ma noi resisteremo, anche al buio!” La folla applaudì, ma un compagno in fondo gridò: “Sì, ma senza luce come faccio a trovare il bicchiere di vino?!”. Intanto, Donna Maria, la guaritrice del paese, passava tra la folla con un fiasco di vino e una candela, dicendo: “Bevete, che così vedete doppio e non vi serve la luce!”
Saverio, però, aveva un problema più grande: suo nonno, un vecchio partigiano morto da poco, gli appariva in sogno ogni notte, con un’aria da rimprovero. “Nonno, che vuoi da me?” si lamentava Saverio. La risposta arrivò da Donna Maria, che, tra un sorso di vino e un segno della croce, sentenziò: “Tuo nonno non trova pace perché voti PCI! Lui era PSI, lo sai. E poi dice che quel carro armato è un obbrobrio, rovina il panorama!” Saverio scoppiò a ridere: “Ma che, pure gli spiriti fanno critica estetica adesso?”
Nel frattempo, in un angolo della piazza, il vecchio Gennaro, ex fascista e macchietta locale, se ne stava seduto con una camicia nera sdrucita e un cappello da alpino, borbottando contro i “rossi”. “Ai miei tempi, con uno come te facevamo un bel falò!” ringhiò a Saverio, alzando un bastone che sembrava più un rametto. “Gennaro, statt’ zitt’,” gli rispose Saverio, “che col Duce non avevi nemmeno la benzina per accendere il falò!” Gennaro, rosso come un peperoncino calabrese, inciampò su una bandiera rossa e finì a terra, urlando: “Maledetti bolscevichi, pure la gravità è comunista!” La piazza esplose in una risata, mentre due compagni lo tiravano su, offrendogli un bicchiere di vino per farlo tacere.
La serata prese una piega ancora più surreale quando Don Peppino, il sindaco, decise di sabotare la festa. Armato di un megafono e di un gruppo di beghine, si mise a recitare il rosario a tutto volume, sperando di coprire il comizio di Saverio. Ma il compagno Trapasso non si lasciò intimidire: “Don Peppì, se preghi così forte, magari tuo Dio ti ascolta e ti manda un po’ di corrente elettrica!” La folla rise, e persino le beghine si lasciarono scappare un sorriso, mentre Don Peppino, paonazzo, borbottava: “Questo ragazzo è il demonio in persona!”
A fine serata, Saverio decise di seguire il consiglio di Donna Maria per liberare lo spirito di suo nonno. Prese la vecchia bandiera partigiana del nonno, la avvolse con cura e la mise dentro il carro armato, che ormai usava come magazzino. “Nonno, vai in pace,” sussurrò, accendendo una candela. “E se proprio devi votare dall’aldilà, vota PCI, che col PSI non si combina niente!” Quella notte, sognò suo nonno che, con un sorriso, gli mostrava un manifesto elettorale del PCI, come a dire: “Va bene, hai vinto tu.”
La Festa dell’Unità finì in un delirio di canti e balli, con Saverio che, ubriaco di vino e di ideali, salì sul carro armato e urlò: “Compagni, la rivoluzione è vicina!” Peccato che il carro armato, mosso da un colpo di vento, scivolò di mezzo metro e finì contro il gazebo delle salsicce, mandando tutto all’aria. Don Peppino, vedendo la scena, si fece il segno della croce: “Ve l’avevo detto che i comunisti portano solo guai!” Ma la piazza, tra risate e applausi, continuò a festeggiare, perché a Praia a Mare, tra crisi e sogni, si trovava sempre un modo per tirare avanti.
LE ASSEMBLEE NON FINISCONO, MA SI SPOSTANO SU TELEGRAM
Un racconto di Dario Greco
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