Capitolo 1 – Il maestro influencer di Pontedera
Il maestro di arti marziali di Pontedera non era un tipo qualsiasi. Si chiamava Maurizio, ma sui social aveva deciso che il suo nome d’arte fosse Sensei Dragonfire 77, perché “Bruce Lee non avrebbe mai usato un nome banale da anagrafe comunale”. Era permaloso come un gatto che ti graffia se gli tocchi la coda, ma in fondo buono come il pane. Il problema era che, quando qualcuno non la pensava come lui, scattava subito l’offensiva digitale: “Te sei un clown, punto e basta. E io con i clown non ci parlo”.
Il suo tormentone, “clown”, ormai era diventato leggenda. C’era chi sosteneva che un giorno l’avrebbe stampato pure sui kimono della palestra. E forse lo avrebbe fatto, se solo non fosse stato troppo occupato a litigare nei commenti sotto i post del Comune di Pontedera.
Ogni mattina, dopo il cappuccino e la schiacciata con l’uva, accendeva il telefono e iniziava la sua battaglia quotidiana: un duello social contro politici, tifosi di calcio e aspiranti filosofi da tastiera. Nel suo mondo, i social non erano un passatempo, ma un dojo digitale, dove l’onore si difendeva con le emoji arrabbiate e le GIF di Bruce Lee.
Maurizio non amava il calcio. Non lo sopportava. Diceva che era il vero motivo per cui l’Italia stava andando a rotoli: troppa gente a guardare le partite e nessuno a studiare le tecniche del Wing Chun. Ogni volta che qualcuno provava a spiegargli che il calcio “unisce il popolo”, lui sbottava:
— Unisce? Unisce cosa? I clown allo stadio con la birra in mano!
In quel momento alzava le braccia come se stesse recitando una scena di Tarantino, convinto che la sua vita fosse una lunga pellicola di arti marziali girata tra la Valdera e Hollywood.
Capitolo 2 – Clown, Joker e King
Il maestro era convinto che la società intera fosse popolata da clown, come in un romanzo di Stephen King. A volte diceva ai suoi allievi più giovani:
— Ragazzi, vi ricordate It? Ecco, quella roba lì non era fantasia. È un documentario sulla realtà italiana.
Gli studenti ridevano, ma lui non stava scherzando. Al contrario, aggiungeva:
— Io li vedo ovunque. Al bar, in televisione, persino a fare la fila alla posta. Pagliacci! Tutti con i nasini rossi invisibili!
Un giorno un allievo gli fece notare che anche il Joker di Batman era un clown. Il maestro si fermò, incrociò le braccia e rispose:
— Joker almeno ha un codice morale. Malato, ma ce l’ha. Qui invece siamo circondati da clown senza arte né parte. Non hanno nemmeno il fascino del male.
In quei momenti sembrava un predicatore apocalittico, un po’ comico, un po’ tragico, come un personaggio secondario di C’era una volta a Hollywood che però si credeva protagonista.
La sua palestra era piena di poster di Bruce Lee, il suo mentore spirituale. Ogni volta che citava il Maestro, la sua voce cambiava tono. “Be water, my friend”, diceva, anche se poi, due minuti dopo, insultava un utente su Facebook perché aveva scritto che il sushi non era granché.
Le discussioni digitali erano epiche. Una volta litigò per 72 commenti consecutivi con un tifoso della Fiorentina che lo aveva preso in giro dicendo: “Oh Sensei, ma un ti guardi mai una partita?”. Maurizio, furibondo, aveva risposto con un lungo papiro filosofico in cui sosteneva che Bruce Lee avrebbe rotto tutti i palloni con un calcio volante pur di salvare i giovani dall’ignoranza. Alla fine, concluse con il suo solito: “Te sei un clown”.
I follower, divertiti, iniziarono a commentare con GIF di clown ballerini e faccine buffe. Involontariamente, il Sensei stava diventando virale.
Capitolo 3 – Il dojo social e la lotta finale
La palestra del maestro non era grande: due stanze, un tatami consumato e un piccolo ufficio dove teneva la telecamera sempre pronta. Perché ogni allenamento diventava anche contenuto. Lui lo diceva spesso:
— Oggi senza social non sei nessuno. Io vi insegno il Kung Fu, ma vi insegno anche a combattere gli haters.
Il suo sogno era fare un film alla Karate Kid, ma ambientato a Pontedera. Il protagonista sarebbe stato un ragazzino spaesato che trovava nel maestro Dragonfire 77 la guida spirituale. Solo che invece di combattere contro Cobra Kai, si sarebbe scontrato con una gang di ultrà del Pisa Calcio. “La vera lotta è culturale”, diceva il Sensei. “Il nemico non è un dojo rivale, ma l’ignoranza collettiva… e i clown”.
Una volta si spinse ancora oltre. Fece un video su TikTok, vestito con una maschera da clown che aveva comprato al mercato, per denunciare la decadenza del Paese. Con tono drammatico, urlava:
— Finite le ferie, entrino i clown! Ma io non mi arrendo! Io combatterò fino all’ultimo like!
Il video ebbe 50.000 visualizzazioni. Alcuni ridevano, altri lo prendevano sul serio, ma tutti condividevano. Nel suo piccolo, Maurizio era diventato una celebrità. Persino un giornalista locale gli dedicò un articolo: “Il maestro di arti marziali che combatte i clown sui social”.
Eppure, quando la sera chiudeva la palestra, rimaneva da solo a guardare un vecchio DVD di Bruce Lee. Lo guardava con occhi lucidi, come se stesse parlando direttamente a lui.
— Maestro, io ci provo, ma questi clown mi fanno uscire di testa.
La verità era che sotto l’armatura del Sensei influencer, Maurizio restava un uomo buono, convinto che le arti marziali potessero salvare almeno un pezzetto del mondo. E se per riuscirci doveva gridare contro i clown virtuali e sembrare un po’ folle, beh, tanto meglio.
Dopo tutto, come diceva lui:
— Se devo vivere in un film, che almeno sia diretto da Tarantino.
E così, tra un calcio volante e una risata amara, il maestro Dragonfire 77 continuava la sua crociata personale. Il mondo intorno a lui era un circo, ma lui sapeva di avere un compito preciso: allenare la prossima generazione a distinguere i guerrieri veri dai clown travestiti da pensatori.
Perché alla fine, lo sapeva bene, i clown non finiscono mai davvero. Sono sempre lì, pronti a spuntare.
E allora, finite le ferie… entrino i clown.
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