Luca Beltrami scriveva di criptovalute da sei anni. Ma lui, in fondo, odiava le criptovalute. Era un uomo di sinistra. Vero, di quelli veri. Cresciuto tra centri sociali e assemblee interminabili, l’unico wallet che riconosceva era quello della classe operaia. Detestava le cravatte, i fiscalisti, le startup. Parlava ancora di “lotta di classe” mentre l’algoritmo di YouTube gli suggeriva video su Layer 2, staking e CBDC. Eppure, ogni giorno, scriveva articoli su Bitcoin, Ethereum, il futuro dell’economia decentralizzata e, ultimamente, sulle meme coin con il nome di gatti ubriachi. Era diventato una voce autorevole del settore, anche se nessuno sapeva che dietro quei pezzi brillanti, firmati “L. Beltrami”, si nascondeva un anarchico marxista con l’adesivo “Free Assange” sul frigorifero.
Tutto filava liscio, fino al giorno in cui sentì una voce.
Era un pomeriggio come tanti. Luca stava cercando di scrivere un editoriale su un nuovo DEX rivoluzionario quando, all’improvviso, una voce tonante uscì dalle casse del computer. Non Spotify, non un video in background. Una voce viva. «The Fed è il vero nemico, Luca. La tua banca ti odia. E il Deep State controlla la tua caffettiera.» Luca sobbalzò. Fece cadere il bicchiere di Kombucha sul tappetino del mouse. Guardò lo schermo: niente. Tutto normale. Ma poi, in un angolo della finestra di Chrome, comparve un’icona. Una silhouette arancione. Un ciuffo familiare. Era lui. Donald. J. Trump. Ma non un video. No. Una miniatura animata. Trump lo fissava. E parlava. «Luca, amico mio. Tu sei diverso. Tu capisci. Vedo nei tuoi articoli un cuore ribelle. Antisistema. Tu sei uno dei nostri.» Luca spalancò gli occhi. Pensò di essere impazzito. Prese un libro di Žižek e lo lanciò verso lo schermo. Ma la voce continuava. «Scrivi. Continua a scrivere. Il mondo ha bisogno della verità. Bitcoin è libertà. Le CBDC sono comunismo cinese. E tu lo sai.» Da quel giorno, Luca non fu più lo stesso. Continuava a firmare pezzi col suo solito stile, colto e ironico, ma qualcosa stava cambiando. C’erano piccole crepe nel suo lessico. Cominciò a usare espressioni strane, tipo “valuta del popolo libero” o “le élite bancarie tremano”. Citava Marx, certo, ma affiancandolo a... Ron Paul. Un giorno chiuse un pezzo con la frase: “La rivoluzione non sarà trasmessa... ma sarà su-chain.”
I colleghi iniziarono a preoccuparsi. «Tutto bene, Luca? Hai scritto che Gary Gensler è un replicante inviato da BlackRock.» «Lapsus da tastiera. Volevo dire tecnocrate.» Ma non era un lapsus. Nelle notti più cupe, Luca apriva ChatGPT e scriveva prompt come: “Scrivimi un discorso alla Nazione come se Trump fosse Che Guevara.” E poi lo leggeva ad alta voce, nudo, davanti allo specchio. Il culmine arrivò quando ricevette l’invito. Una busta. Fisica. Di carta. Con timbro dorato. Non c’era indirizzo. Solo una scritta: “CONVEGNO SEGRETO SUL FUTURO DEL BITCOIN - Località riservata, dress code: MAGA casual.” Luca, per qualche motivo che neppure lui riusciva a spiegarsi, andò.
Si ritrovò in una villa nel Chianti, circondato da una fauna degna di una distopia cripto-barocca: ex-minatori russi, influencer con la faccia di Vitalik tatuata sul polpaccio, e una donna vestita da NFT con uno sguardo da strega dell’IA. Poi lui entrò. Trump. In carne, ossa e spray autoabbronzante. Parlò per un’ora. Non disse nulla di coerente. Ma ogni frase era come un trip mentale. «Bitcoin è come me. Non ha bisogno di permessi. Non ha bisogno di scuse. È grosso. È dorato. E a volte è esploso.» Il pubblico applaudì. Luca pure. Aveva le lacrime agli occhi. Tornato a Roma, scrisse il suo pezzo definitivo. Un’ode delirante a Bitcoin, Trump, e al collasso dell’ordine mondiale. Titolo: “Dai Soviet alla Solana: come ho imparato a smettere di preoccuparmi e amare l’halving.” Lo pubblicò su Medium, sotto pseudonimo. L’articolo fece il giro di Twitter. Elon Musk lo retwittò scrivendo: “Questo tipo ha capito tutto. 🔥” Luca diventò virale. Gli offrirono una rubrica fissa. Gli chiesero di tenere una conferenza. Persino uno spot in TV per una stablecoin sponsorizzata da un ex pugile. Rifiutò tutto. Voleva solo scrivere. E parlare con Trump. Sì, perché ormai la voce era stabile. Ogni sera, dopo aver chiuso l’editor, Luca sentiva il suo mentore apparire sullo schermo, sospeso tra realtà e codice sorgente. «Hai fatto bene, Luca. Sei parte del piano. Il piano a lungo termine per liberare l'umanità... con le meme coin.» Luca annuì. Bevve un sorso di Mate. E scrisse: “Il futuro è un blocco immutabile. E oggi ho deciso di minare me stesso.”
FINE